Nato da Pietro Zangheri e Italina Baldazzi il 15 giugno 1915, Pio è il più grande di tre figli, (prima di lui, Maria, morì neonata) e a lui seguirono i fratelli Giulio e Gino. Vivevano inizialmente a Porta Fiume, vicino al Ponte Vecchio, e successivamente andarono ad abitare in centro, sempre a Cesena. Da piccolo Pio, giocando con altri bambini, ricevette un colpo di fionda che gli fece perdere parzialmente la vista da un occhio,ma alla madre non lo disse, asserendo di essere sempre stato così: con quel problema alla vista fu poi esonerato dal servizio di leva. Il padre Pietro aveva una bottega da intarsiatore in Viale Mazzoni prima della guerra, poi però andò in Belgio a fare il minatore, mentre la madre Italina faceva la lavandaia: andava a lavare i panni al fiume per le famiglie benestanti e, una volta asciugati, li stirava e li riconsegnava. Mantenere tre figli da sola doveva essere una bella fatica e dal Belgio non si sa quanto contribuisse il padre, che tra l’altro, aveva proposto alla moglie di raggiungerlo, ma Italina non se la sentì di lasciare tre figli piccoli agli zii, e quindi rifiutò. Pietro tornò a casa nel 1956 ammalato di silicosi e infatti morì poco tempo dopo. Dunque, a sei anni Pio fu mandato in seminario insieme al fratello Giulio per poter avere istruzione, cibo e vestiti garantiti e vi rimase fino a circa 14 anni. Gino invece, il fratello più piccolo, rimase a casa con la mamma. Al quinto anno di ginnasio, Pio passò alle Scuole Magistrali di Forlimpopoli, dove andava ogni giorno in bicicletta. Purtroppo qui frequentò solo due anni per cui non arrivò ad ottenere il diploma.Allora a sedici anni cercò lavoro e iniziò a tenere la contabilità in una ditta di trasporti (ecco perché lo chiamavano ‘ragioniere’ pur senza averne titolo). A diciotto anni andò a lavorare presso la ditta di frutta Foschi, dove si occupava di tutta la parte commerciale e dell’esportazione: andava anche a Roma al Ministero del Commercio Estero per le autorizzazioni necessarie e, primi a Cesena, riuscirono a portare le ciliegie in Inghilterra. Guadagnava molto bene e da Londra tornava con le prime ‘polo’, qui ancora non in voga. La famiglia di Pio abitava vicino al Teatro Verdi e quando nel 1936, a soli ventuno anni sposò Erasma Angelotti, una ragazza di origine Toscana, trovò casa per sé in Corso Mazzini: un appartamento in cui c’era addirittura il bagno interno con la stufa e potevano permettersi persino una ragazza a servitù. In quel periodo Pio era l’unico a lavorare ed oltre a mantenere la sua nuova famiglia, aiutava i fratelli, la madre ed anche i parenti. La moglie Erasma, che aveva imparato a cucire presso il maestro Morganti addirittura a pagamento, faceva la sarta in casa e cuciva abiti da uomo. Insieme alla sorella Anna, che era sarta da donna, in pratica vestivano le loro intere famiglie. A soli ventidue anni (1937) Pio ebbe il primo figlio, Pietro, che disgraziatamente morì a sedici mesi, cadendo dal tavolo. La morte del primo figlio, così inaspettata e tragica, fu un dolore troppo grande per Pio, che non avrebbe voluto averne altri. La disgrazia aveva in parte cambiato la sua personalità e quella della moglie. Poi invece…… nel 1939 nacque Anna Maria, nel 1943 Gian Piero, e nel 1952 Gian Paolo, a cui venne in seguito riscontrata la sindrome di Down. Fu un buon marito e sua moglie lo adorava, mentre con i figli era un po’ distaccato. A quei tempi educare e seguire i figli era considerato compito della donna, mentre all’uomo spettava garantire la sussistenza, tuttavia si occupava e preoccupava di Paolo che, diventato ragazzino, portava spesso con sé. Autoritario ma non troppo, a volte si arrabbiava e questa instabilità d’umore era forse dovuta al diabete subentrato nel frattempo. Estremamente preciso e puntuale, quando diceva una cosa voleva essere ascoltato. Non parlava mai in dialetto, anche se lo conosceva bene, e coi figli diceva che, piuttosto che storpiarlo, era meglio parlare italiano. Pio fu un assiduo frequentatore del Circolo “Renato Serra” dove andava anche per giocare a Bridge e infatti partecipò a diversi tornei, diventando campione regionale. Alla chiusura del Circolo Serra iniziò a frequentare il “Circolo Cittadino”. Con l’arrivo della guerra, per sfuggire ai bombardamenti, Pio e i famigliari andarono “sfollati” in collina, in una casa fra Montiano e Montenovo, dove ad ogni famiglia era stata messa a disposizione una stanza. Pio non fu chiamato alle armi a causa del problema all’occhio, e andava a lavorare in bicicletta, e sempre in bicicletta tornava a casa ogni sera dai suoi. I bambini vissero la guerra tranquillamente perché inconsci della situazione: erano in campagna e stavano fuori a giocare e a divertirsi. Un giorno mentre era in strada, Pio fu intercettato dai soldati tedeschi della “TOT” e reclutato a lavorare per loro e tuttavia, mostrando loro le mani, li convinse di non essere adatto a lavori pesanti. Così lo misero a fare il ragioniere e a tenere i conti per loro. Ogni giorno si recava in bicicletta fino a Rimini, dove era responsabile del personale e dei pagamenti per le squadre di lavoro impiegate nella zona. Questa posizione gli permise, facendo avere paghe per le false presenze da lui registrate, di aiutare molta gente, ovviamente senza alcun suo tornaconto, anzi a suo rischio. E quando a guerra finita gli fu offerto di essere riconosciuto come partigiano, rifiutò perché si considerava fuori da ogni categoria. Va ricordato un episodio curioso: uno degli ultimi giorni prima dell’arrivo delle truppe inglesi, in uno dei suoi trasferimenti in bicicletta con la borsa delle paghe, Pio venne sorpreso da un bombardamento e la strada era bloccata. Per mettersi in salvo decise di disfarsi della borsa cedendola al primo passante: non si è poi mai saputo che fine abbiano fatto tutti quei soldi. Finita la guerra la famiglia tornò a casa. Il portone principale del palazzo era rimasto chiuso, bloccato dal catenaccio perché piegato a causa di una bomba, così mobili, arreda-menti e ogni cosa si salvarono da eventuali sciacallaggi e pian piano si poté cominciare a ricostruire la propria vita. Nel 1945/46 Foschi, titolare della ditta in cui Pio teneva l’amministrazione, morì e i suoi figli, incapaci di gestire l’azienda in modo proficuo, cominciarono a indebitarsi e la loro malagestione portò in breve l’azienda al fallimento. Anche in questa occasione Pio si mostrò previdente e altruista, riuscendo a far avere una buonuscita a tutti i dipendenti. E’ così che, alla fine degli anni ’40 si trovò senza lavoro, ma con qualche soldo di questa buonuscita. Rifiutò un’offerta di lavoro presso la Cassa di Risparmio di Cesena che lo voleva come impiegato presso l’ufficio estero, per l’esperienza che si era fatto nel commercio e negli uffici a Roma lavorando da Foschi, ma l’idea di chiudersi in un ufficio non gli piacque. In quel periodo il fratello più piccolo, Gino, che lavorava nello studio fotografico “Foto Moderna” di Cortesi, aveva manifestato l’intenzione di aprire un’ attività sua, ma non aveva i fondi necessari. Nel 1951 allora i due fratelli si misero insieme creando lo studio fotografico “F.lli Zangheri”; in via Rosselli a Cesena. Comprarono le prime attrezzature e grazie all’esperienza di Gino, fatta lavorando presso diversi studi di Cesena, cominciarono ad operare in svariati settori come: fototessere, riproduzioni, fotoceramiche e ricordini, sviluppo e stampa, foto industriali e artistiche, elaborazioni fotografiche per l’artigianato (mobili, vetreria, ecc…), cine-riprese, ma sopratutto servizi in esterno con riprese su lastre a macchina fissa e reportage di ogni tipo, dal matrimonio all’evento sportivo. Facile intuire che Pio si occupava più della parte amministrativa e commerciale, mentre a Gino spettava il lavoro più tecnico e manuale. Però Pio, lavorando insieme a suo fratello, si appassionò molto al mondo della fotografia. Si trovarono subito ad avere molto lavoro, tanto da dover assumere, in quegli anni, anche del personale. Nel 1952, su sollecitazione della famiglia De Maria, proprietari del Dancing Woodpecker, lo studio fotografico cominciò ad operare anche a Milano Marittima, dove poi andò ad aprire una filiale e dove, a cavallo tra gli anni ‘50 e ’60, poté ritrarre per oltre 10 anni la "dolce vita" della nota località. Insieme al negozio, Pio aveva trovato in Via Rosselli anche una nuova abitazione, della quale usavano, a volte, una stanza come sala di posa. L’appartamento aveva il riscalda-mento e gli ambienti erano senz’altro migliori. Nel tempo libero Pio continuava a fare il ragioniere per l’A.C. Cesena (gratuitamente), e dell’A.C. Cesena divenne fotografo ufficiale, seguendo la squadra anche nelle trasferte. Nel 1958 i due fratelli si separarono dando vita a due aziende distinte. Non ci è noto il vero motivo della separazione e la cosa non piacque alle rispettive mogli che erano molto amiche. Lo studio era stato da poco trasferito in Corte Dandini, dove rimase Pio, e Gino aprì il suo nuovo studio poco distante, in Corso Mazzini, per una maggior visibilità. Questa separazione indusse Pio a chiedere ai figli, prima ad Anna Maria, poi a Gian Piero di interrompere gli studi per aiutarlo nel lavoro. In seguito a Gian Piero fu pure affidato il negozio di Milano Marittima nelle stagioni estive. Il lavoro procedeva abbastanza bene. Nel 1964 la famiglia Zangheri andò ad abitare in Via Natale dell’Amore e nel 1965 Gian Piero lasciò lo studio del padre per trasferirsi in Germania, dove ebbe l’opportunità di acquisire nuove tecniche e conoscenze. Lo studio Zangheri si era trasferito in Piazza Fabbri quando Gian Piero nel 1969 tornò a lavorare insieme al padre. Nel 1975 Pio andò in pensione cedendo lo studio fotografico a Gian Piero, che ne continuò l’attività fino agli anni ’90. A causa di un attacco cardiaco Pio improvvisamente morì nel 1976. Pio era una persona molto socievole, altruista e metteva sempre al primo posto la famiglia. Era sempre presente a tutti gli eventi del Cesena-Calcio in qualità di fondatore e sostenitore insieme agli amici Rognoni, Piraccini, Pantani, Montemaggi, e altri personaggi conosciuti al circolo Renato Serra e al Bar Centrale. Ci teneva ad essere sempre ben vestito ed elegante e anche se sembrava molto serio, gli piaceva partecipare a feste e veglioni, a cui accompagnava la moglie. Negli ultimi anni della sua vita, con la nascita di Angela e Gian Luca è stato un nonno affettuoso e sempre presente.